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La città ha radici antichissime e forti testimonianze, che abbracciano ogni epoca a partire dalla preistoria. Una dimostrazione è data da una serie di reperti e testimonianze rinvenute su tutto il suo territorio, soprattutto nella “Baia di Uluzzu”, dove si trovano diverse grotte, tra cui quelle significative di Uluzzu e del Cavallo. In esse sono stati trovati graffiti ed elementi archeologici importantissimi, tanto da farli ritenere come le prime manifestazioni di arti figurative esistenti in Europa (80.000/100.000 anni a. C.), catalogati nel Paleolitico Medio e Superiore. L'importanza dei reperti ritrovati ha portato alla definizione di un periodo storico più preciso, che ha preso il nome dal luogo del ritrovamento: il Paleolitico "Uluzziano", appunto dalla "Baia di Uluzzu". Nardò, come centro abitato, trova le sue origini intorno all’anno Mille ad opera dei Messapi. Infatti la etimologia del suo nome è da ritrovarsi nella parola nar, di derivazione illirica, che significa acqua. Da nar la Nerìton greca e il Neritum o Neretum latino.
Conquistata dai Romani nel 269 avanti Cristo, con il suo porto Emporium Nauna (probabilmente l’attuale S. Maria al Bagno), fu attraversata dalla famosa Via Traiana, che costeggiava tutta la riviera jonica. Dopo la caduta dell'impero romano, Nardò passò sotto il dominio dei Bizantini e, per un brevissimo periodo, dei Longobardi. Con i Bizantini si ebbe l’incremento della presenza dei monaci Basiliani, che diffusero, tra l’altro, una nuova tipologia costruttiva, cioè la costruzione in grotte. Infatti numerosi furono i villaggi rupestri, come quello in contrada Le Tagliate, e le cripte, come quella di S. Antonio Abate.
Nel 1055 i Normanni si impossessarono della città e giunsero i Benedettini. Nel 1266, subentrarono gli Angioini, i quali, pur avendo organizzato i centri abitati del regno in universitas, svilupparono il feudalesimo. Nardò passò come feudo attraverso diverse famiglie, finché, con la presenza degli Aragonesi, nel 1497 fu assegnata ad Andrea Matteo Acquaviva, il cui figlio, Belisario, divenne duca, dando così inizio al lungo possesso degli Acquaviva, protrattosi fino agli inizi del sec. XIX. A Belisario, uomo colto, si deve il rilancio di Nardò sul piano culturale. Infatti la civiltà rinascimentale segnò una tappa importante per l’ambiente neritino, che divenne punto di riferimento qualificante per ogni umanista salentino e meridionale, come Antonio De Ferrariis, il Galateo, e il poeta neritino Rogeri de Pacienza. Un ulteriore riscontro dell’intenso fervore è offerto dalla rifondazione dell’Accademia del Lauro (o Alloro), molto probabilmente istituita, in precedenza, dai Sanseverino.
Nel 1413 Nardò era divenuta definitivamente sede di diocesi, dopo essere stata sede di abbazia benedettina e già diocesi per alcuni anni intorno al 1378. Si era dotata, inoltre, della presenza di ordini religiosi: i Francescani, nel 1271, i Domenicani e le Clarisse di S. Chiara nei primi decenni del 1300. Mentre gli Acquaviva si succedevano e la gestione della università proseguiva senza grandi eventi, il flusso di ordini religiosi continuò: i Minori Osservanti nel 1497 (nel 1599 sostituiti dai Riformati), i Carmelitani intorno alla eseconda metà del 1500, i Cappuccini nel 1569, i Minimi nel 1613, gli Agostiniani nel 1634 e le Carmelitane nel 1669. Queste presenze comportavano anche lo sviluppo dell’edilizia sacra: infatti non poche furono le chiese e i conventi costruiti o ristrutturati, con l’opera di artigiani locali di buona capacità artigianale, come Giovanni Maria Tarantino. Non minori furono gli interventi di edilizia civile sia per quanto riguarda le Torri costiere e le Masserie fortificate, sia per quella urbana con i palazzi, arricchiti di portali e mignani di straordinaria fattura. Nel 1600 maturarono anche fatti di rilievo, come quello della rivolta del 1647, che da Napoli si era trasferita in periferia.
Per quanto riguarda Nardò, alla motivazione economica si aggiungeva quella politica di acquistare la demanialità. Come duca si trovava Gian Girolamo, il Guercio di Puglia, il quale, con determinazione e ferocia, sedò la rivolta neritina, mandando a morte non pochi ribelli, tra cui sacerdoti. Dopo questi avvenimenti si acuirono ancor di più i rapporti con il ceto emergente cittadino, in cui ormai si stava consolidando un gruppo di baroni, di patriziato locale e della parte più ricca del ceto medio, che già gestiva l’università. Nel primo trentennio del 1700 è da riconoscere anche per Nardò una ripresa economica, alla quale corrisposero una stagione culturale rinnovata, in cui si distinse l’Accademia degli Infimi Rinovati, voluta dal vescovo Antonio Sanfelice (1708-1736) e animata da Giovan Bernardino Tafuri, e una pregevole politica edificatoria sacra, grazie all’iniziativa dello stesso vescovo. In questo nuovo fermento a trarre vantaggi concreti furono i nobili e il ceto medio. Si era costituita un’oligarchia, i cui componenti, che reciprocamente rafforzavano i propri vincoli di parentela con matrimoni e solide clientele, si avvicendavano nelle cariche cittadine quasi con un programmato criterio di rotazione.
Il periodo positivo del primo cinquantennio del sec. XVIII si bloccò sia a causa di congiunture atmosferiche sia, verso la fine del secolo, per le vicende connesse alla guerra delle potenze europee contro la Francia rivoluzionaria. Lo scoppio della rivoluzione a Napoli nel gennaio 1799 contro i Borboni - da cui la Repubblica Napoletana- coinvolse, pur con due settimane di ritardo, anche Terra d’Otranto, suscitando particolari entusiasmi solo in una minoranza, prevalentemente costituita di galantuomini e di sacerdoti. L’esperienza della municipalità a Nardò, come nella maggior parte dei centri, durò pochissimi giorni, ma non scongiurò la reazione efferata borbonica. Con la successiva presenza francese, nel primo decennio del 1800, fu eliminata la feudalità, agevolando l’affermarsi della borghesia, che conquistò le leve del potere cittadino e puntò al controllo dell’economia finanziaria della città, tramite la fondazione e la gestione di banche, sopraffacendo il Pio Monte di Pietà, fondato dal vescovo Sanfelice.
Successivamente, per tutto il Risorgimento e fino ai primi del Novecento, sempre più numerosa, perché impinguata di altre famiglie, la stessa borghesia fu sempre protagonista. Infatti gestì e controllò non solo ogni movimento culturale-politico (si pensi alle pur scarse testimonianze patriottico-risorgimentali e alla gestione del municipio), ma anche qualsiasi attività economica (si pensi all’acquisto di vaste proprietà della Chiesa), nonostante si contrapponesse, prima, negli schieramenti liberali e clerico-borbonici, e, dopo, nei partiti Personè e Zuccaro. La rivalità non risparmiò i vescovi, tra cui Luigi Vetta (1849-1873) e Giuseppe Ricciardi (1888-1908). Tuttavia fu propria questa lotta a dare vivacità alla vita cittadina, che si espresse, a cavallo dei due secoli, attraverso la pubblicazione di diversi giornali locali. Né da meno fu l’impegno nel settore dell’edilizia, dal completamento dell’extramurale alla pubblica illuminazione, al Teatro Comunale; dai palazzi del centro urbano e di S. Maria al Bagno alle ville della Nardò-Pagani e, più ancora, delle Cenate. Il paese reale, tuttavia, era ben diverso: si dibatteva nella miseria, a causa della disoccupazione, e lottava, occupando terre tramite i più intraprendenti, nella speranza di recuperare la paga di qualche giornata. Situazione che peggiorò dopo la prima guerra mondiale, sfociando il 9 aprile 1920 in una storica rivolta, quando, addirittura, si parlò di Repubblica neritina.
A livello di paese legale ci fu un rimescolamento, a volte violento, di classe dirigente tra vecchi e nuovi, da cui, poi, scaturì la dirigenza fascista. Nelle rivalità fu coinvolto, ancora una volta, un vescovo: Nicola Giannattasio (1908-1926), il quale, amico della “vecchia” élite borghese e agraria, ma soprattutto strenuo difensore dell’autonomia della Chiesa, anche nei confronti del nuovo potere comunale fascista, dovette lasciare la diocesi, in quanto traslato, come arcivescovo, presso la curia romana. Nonostante fossero mancate espressioni di antifascismo, ad eccezione di qualche voce come quella di Pantaleo Ingusci, e, per alcuni versi, dell’Azione Cattolica, per l’insita natura di organizzazione al di fuori delle associazioni del regime, vivace divenne il dibattito, dopo il 1943, che vide la costituzione dei partiti politici. Nel confronto politico, in cui negli anni ’50 si inserì prepotentemente la questione della occupazione delle terre dell’Arneo, uscì vincitrice la DC, la quale ha governato in monocolore o in collaborazione con i il PSI e/o con altri partiti del centro-sinistra.
Un punto di arrivo significativo fu il periodo degli anni ’60, che si apriva per Nardò con alcuni grossi problemi sul tappeto, tra cui la crescita urbanistica e la trasformazione del tessuto socio-economico, cui non poco contribuì la costituzione della Zona industriale, a disposizione di imprenditori locali e non. La società neritina, insomma, cresceva, anche se convulsamente all’attacco… come avveniva nel calcio, quando la squadra locale raggiunse nel 1965 la serie C. L’abusivismo, soprattutto lungo la costa, l’autonomia di Porto Cesareo, la costruzione di infrastrutture, il Piano Regolatore Generale, entrato in vigore nel 1975, l’edilizia scolastica, la destinazione urbanistica di Portoselvaggio, la politica culturale, comprese le stagioni treatrali con compagnie di levatura nazionale, e l’impostazione di una nuova stategia nel campo dei servizi sociali polarizzarono l’attenzione politica fino agli anni ’80.
Queste problematiche erano seguite dal paese reale, che partecipava con interesse, utilizzando, come mezzi di informazione e di dibattito, le radio locali, prima fra tutte Radio Nardò Uno, e giornali locali, tra i quali si distingueva la “Voce di Nardo”. Un momento di pausa si verificò a seguito della uccisione dell’assessore comunale Renata Fonte del PRI, su mandato di un collega di partito, avvenuta nella notte del 31 marzo 1984. L’attività politica riprese con completamenti di opere infrastrutturali primarie, con interventi di edilizia scolastica e sportiva, con la definizione della pratica della metanizzazione e con l’adeguamento del Piano regolatore generale. Sono subentrati, poi, nei primi anni ’90, il capovolgimento dei partiti tradizionali e la trasformazione di altri, dando inizio ad un nuova fase politico-amministrativa.
Sul piano economico Nardò, oggi, si presenta ancora con i tradizionali settori: l'agricoltura e l'artigianato. Nel settore agricolo, accanto alla produzione di vino da tavola e da taglio, prodotti da locali stabilimenti vitivinicoli, tra cui campeggia per qualità la Cantina Sociale Cooperativa , e di olio, prodotto da locali frantoi e stabilimenti, come l’Oleificio Cooperativo “Riforma Fondiaria”, sono in espansione le culture di primizie ortofrutticole, quali pomodori, patate e, soprattutto, angurie. L'artigianato continua ad offrire grandi maestri d'arte nei laboratori di lavorazione della pietra di carparo; di lavorazione e decorazione del vetro nelle sue varie categorie d'arredamento.
La Zona industriale è un realtà significativa nell’economia salentina e meridionale per la presenza di opifici variegati, qualificati nella produzione e tecnologicamente dotati (es.: meccanica, edilizia, scatolificio, segnaletica). Di prestigio, accanto al suo primario ruolo di occupazione e di valorizzazione di maestranze locali, è la presenza della Pista di collaudo autovetture della PROTOTIPO (ex FIAT), la prima in Europa e tra le prime nel mondo, per estensione di servizi e per qualità tecnologica. Ma è il settore turistico, che da alcuni anni va affermandosi ed è in continua evoluzione, grazie anche alla edificazione di strutture ricettive, sempre più qualificate, sorte dopo Gran Hotel Riviera, come il Villaggio Torre Inserraglio-Tramonti, allo sviluppo delle Marine e del Parco di Portoselvaggio.
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